Storia del Lino
Dalla Mesopotamia, passando dagli Etruschi fino ad oggi

Storia del Lino

Il lino era già utilizzato per ricavare fibre tessili nel 4° millennio a.C. in una vasta area euroasiatica che comprendeva Mesopotamia, Mar Caspio e zona orientale del Mar Nero. La sua diffusione fu rapida e seguì lo sviluppo di tutte le grandi civiltà. In Egitto il lino era già utilizzato intorno al 3700 a.C. non solo per ricavare oli medicamentosi e decotti (con la qualità definita lino da seme), ma anche per realizzare capi di abbigliamento raffinati e, soprattutto, le bende con cui venivano avvolte le salme per essere mummificate. Il lino fu usato anche dai Greci, ma la sua maggiore diffusione si ebbe in epoca imperiale romana, quando da tessuto pregiato divenne di uso comune. Il lino non fu usato solo per realizzare capi di vestiario ma, data la sua resistenza, conobbe anche altre destinazioni, come la produzione di vele per le navi e di cordami.

Nel Medioevo le piantagioni sorsero nei luoghi dove più ricca era la dotazione idrica, dalla Pianura Padana all’Inghilterra, all’Europa continentale (Germania, Olanda, Belgio e Francia). Soprattutto questi ultimi tre paesi si sono sempre distinti per l’alta qualità dei loro filati di lino.
Il Medioevo fu il periodo d’oro del lino: le piantagioni si moltiplicarono e i tessuti erano venduti sulle migliori piazze mercantili d’Europa. Già a quell’epoca questo tessuto era apprezzato per la sua morbidezza e resistenza.

L’età moderna segnò l’inizio del declino di questa pianta e dei suoi derivati. Una delle cause fu la concorrenza di altre fibre tessili, come il cotone. La progressiva meccanizzazione delle fasi di filatura e tessitura, nel corso del 19° secolo, portò a un’ulteriore affermazione sul mercato del cotone rispetto al lino, la cui produzione rimase a lungo artigianale. In seguito impianti meccanici per la lavorazione di questo tessuto diedero buoni risultati (in Italia nacque per esempio, alla fine dell’Ottocento, il Linificio e canapificio nazionale, che esiste ancora oggi come industria privata). A partire dalla fine dell’Ottocento i capi di lino sono tornati a essere considerati tra i più pregiati per le loro qualità di freschezza e di morbidezza: abiti, camicie, lenzuola, tovaglie, asciugapiatti e completi da bagno in lino sono spesso tra i prodotti più esclusivi e preziosi.

Il Lino dagli Etruschi ad oggi

Il lino fu molto adoperato in Etruria, sia il seme che usavano come farmaco con proprietà emolienti e antinfiammatorie, che prodotto su scala industriale in alcune città, per la fabbricazione di vesti, vele, reti da pesca, bendaggi e come materia scrittoria per testi di carattere sacro o di particolare importanza.
Il Libro in lino di Zagabria), più comunemente conosciuto come Mummia di Zagabria che costituisce il più lungo testo in lingua etrusca di cui disponiamo (circa 1200 parole) e il solo libro in lino esistente, oltre ad essere considerato il libro più antico d’Europa, secondo lo studioso Van der Meer sarebbe stato scritto da una confraternita sacerdotale aruspicina dell’antica Ena, oggi San Quirico d’Orcia. Pur non completamente decifrabile, il testo sembra essere un calendario rituale redatto su un drappo di lino suddiviso in dodici riquadri rettangolari, che era stato utilizzato per bendare la mummia di una donna del periodo Tolemaico, ritrovata in Egitto a metà del XIX secolo. È detta “di Zagabria” (nel cui museo archeologico è ancora conservata) perché fu riportata dall’Egitto come cimelio dal croato Mihajlo Barić, impiegato della cancelleria del Regno Apostolico di Ungheria e Croazia a Vienna. Il testo, fu riconosciuto e studiato solo alla fine del secolo dall’egittologo Jacob Krall che tuttavia si rese conto che la lingua era l’Etrusco. Krall ricostruì la forma che il libro doveva avere prima di essere tagliato per creare le bende. In origine il libro era costituito da un telo lungo circa 340 cm ed alto circa 40 cm; il libro, scritto nel senso della lunghezza da destra verso sinistra, era distribuito su dodici colonne larghe circa 24cm; le varie colonne erano demarcate da linee rosse. Probabilmente in origine il libro era piegato a fisarmonica.

Anche nell’abbigliamento il lino, insieme alla lana, era il tessuto più utilizzato dagli Etruschi. Usato nel suo colore naturale, talvolta era arricchito con ricami in fili in oro molto eleganti per tuniche, sia maschili che femminili, mantelli detti “tebenno”, copricapo, perizomi e gonnellini ricamati che nel tempo furono sostituiti dal chitone corto, una tunica simile a quella usata nell’abbigliamento dei Greci.

La moda etrusca sarebbe stata poi destinata a l’influenzare quella romana anche se, quando le due culture cominciano ad incontrarsi, i romani rifiutano il principale tratto distintivo dell’abbigliamento etrusco: il gusto per il lusso. E se Strabone afferma che i romani conobbero il lusso quando soggiogarono gli etruschi, altri autori come Platone e Teopompo prendono di mira le usanze etrusche, a loro dire riflesso di un’eccessiva rilassatezza nei costumi dei popoli che abitavano in antico la Toscana e le regioni vicine. Tutto ciò comunque non avrebbe impedito ai romani di adottare certi capi d’abbigliamento etruschi, adattandoli al loro gusto: tuniche, toghe e mantelli di lino, epurati dagli eccessi, sarebbero stati in seguito introdotti anche nel vestiario romano.

Durante il Medioevo, nei contratti mezzadrili di ambito senese e fiorentino, si incontrano abbastanza di frequente clausole relative alla semina e alla macerazione del lino.

Fino a mezzo secolo fa, era tradizione per le giovani donne nel nostro paese, possedere capi di lino nel corredo della biancheria da portare in dote al matrimonio. Altra tradizione delle nostre campagne, che come si è visto deriva dagli antichi rimedi farmacologici etruschi, era quella di impiegare i semi di lino in decotti con l’aggiunta di miele, da usare come espettorante per calmare i sintomi dell’influenza o con l’aggiunta di zucchero da usare come pomate da applicare calde sul torace del sofferente.

Articolo tratto da Filo&Fibra.
www.filoefibra.it



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