Origine e storia dei pici
Piatto toscano tra i più apprezzati che meriterebbe il riconoscimento UNESCO

Origine dei Pici
Difficile determinare la storia e le origini di uno dei piatti più buoni e più iconici dell’area del sud del senese: i pici. Molti hanno tentato questa avventura, noi proveremo a fornire il nostro contributo senza avere la pretesa di risolvere l’arcano. Ciò che è certo è che i pici, comunque si propongano sulle nostre tavole, al sugo di carne o all’aglione, alle briciole o cacio e pepe, al ragù bianco di nana o ai funghi porcini, sono comunque una specialità e incantano grandi e bambini, palati raffinati e amanti della cucina popolare.
Ma da cosa deriverà questo straordinario successo? A nostro parere, dall’estrema semplicità degli ingredienti, ma al contempo da una considerevole maestria che si tramanda da generazioni indispensabile per la preparazione e per la realizzazione manuale dei pici stessi, la così detta "appiciatura”. Intere comunità dell’area del senese detengono il proprio segreto, uovo sì, uovo no, tempo di lievitazione, tipo di farina, e nessuna famiglia e nessuna comunità è disposta a svelarlo, trattenendo gelosamente la propria particolarità e unicità.
Ma torniamo alla storia e alle presunte origini dei pici. Qualcuno sostiene che i pici risalgano ad epoca etrusca poiché già presenti in una raffigurazione all’interno della celeberrima Tomba dei Leopardi a Tarquinia. Nel banchetto funebre rappresentato negli affreschi della tomba vi è un dettaglio che raffigura dei contenitori in terracotta contenenti un tipo di pasta lunga, grossa e irregolare che potrebbe far pensare ai progenitori dei nostri pici.
Altri attribuirebbero l’origine dei pici, e lo stesso nome, a Marco Gavio Apicio, noto gastronomo, cuoco e scrittore romano vissuto a cavallo fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. e autore del compendio culinario "De re coquinaria" ovvero “l’arte della cucina”.
Altri pareri sosterrebbero che il nome derivi dal gesto che si fa con il palmo della mano per far prendere all’impasto la forma del picio, quello che nel gergo culinario toscano è il verbo “appiciare”. Personalmente ritengo il contrario, ovvero che “appiciare” derivi dal termine picio e non viceversa. Un’altra strada ci porta a rintracciare l’origine del nome presso la località di San Felice in Pincis (oggi San Felice), vicino Castelnuovo Berardenga. Infine qualcuno ritiene di poter cogliere un collegamento con il pigelleto, l’abete della riserva naturale del Monte Amiata, bianco e dalla forma stretta e allungata, proprio come quella dei pici.

I pici e il legame con il territorio
I pici sono una sorta di laccio, un cordone di acqua e farina che lega diverse realtà, ciascuna delle quali con il suo condimento favorito. Tradizionalmente questa pasta, essendo un piatto povero e della tradizione rurale, veniva mangiata solo con un po’ di “olio bono” o con un trito di cipolla e sale. Ma ogni comunità o piccolo paese, anche il più piccolo, era ed è ancora capace di offrici una variante di questo straordinario piatto. A Celle sul Rigo ad esempio, primo paese ad avere consacrato i pici con una specifica sagra già cinquant’anni fa che si tiene tutt’ora l’ultimo fine settimana di maggio, il picio per antonomasia è all’aglione. Si tratta di un condimento denso a base di pomodoro, olio, aglio e peperoncino. Il segreto della sua straordinaria bontà è contenuto nelle dosi e nella cottura prolungata e lentissima che ne produce una cremosità particolare. A Montepulciano invece il condimento che va per la maggiore sono generalmente le briciole, ottenute con pane raffermo saltato in padella in olio, aglio e peperoncino. In Valdichiana e in parte anche a Montepulciano non è raro che i pici vengano serviti con il “sugo bianco di nana”, piatto straordinariamente interessante perché ci ricorda quando il fondo valle era impaludato dalle frequenti esondazioni della Chiana, prima degli interventi di regimazione idraulica di Pietro Leopoldo di Toscana. In Val d’Orcia è più frequente mangiare i pici con il sugo di carme o conditi con cacio e pepe. Invece a Montalcino, cittadina borghese e di elevate ambizioni, i cosiddetti “pinci” erano conditi con il ricchissimo ragù di vitello, pollo, salsiccia e fegatini, che una volta veniva cucinato esclusivamente per il pranzo della domenica. Nella zona dell’Amiata i pici sono conditi più frequentemente con funghi freschi della montagna. Se poi ci spostiamo in zone lacustri, come il lago di Chiusi, da febbraio a maggio è possibile gustare i pici con un sugo a base di uova di luccio.
Un dato è certo, i pici sono uno dei piatti più buoni della cucina non solo toscana ma senza dubbio della cucina italiana: meriterebbero il riconoscimento di Patrimonio Immateriale dell’Umanità dell’UNESCO e “l’arte dell’appiciare” meriterebbe una propria specifica accademia.
Un consiglio: diffidate dei pici fatti a macchina o di produzione industriale, non hanno nulla a che fare con i “veri pici fatti a mano” che potrete gustare in casa da amici o nei ristoranti della zona del senese che hanno conservato i tratti della autenticità e della tradizione.

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