Il Cipresso, segno distintivo del paesaggio toscano
Storia, sacralità e usi nella cultura rurale

La diffusione del cipresso nel paesaggio soprattutto toscano è il risultato di tradizioni di origine antica, legate alla sua funzione simbolica e alle diverse forme di utilizzo, tramandate per generazioni e trasformatesi nel corso del tempo. In Toscana il cipresso assume un ruolo insostituibile nella caratterizzazione del territorio, profondamente legato alla vita e al lavoro della sua gente. Il cipresso (denominazione scientifica Cupressus sempervirens), originario del Mediterraneo orientale, è stato diffuso in Italia centrale dalle popolazioni etrusche e successivamente dai romani, che lo coltivarono prevalentemente per ragioni ornamentali, ma anche per la qualità del suo legno e non meno come simbolo religioso. Nel ‘400 il cipresso conobbe una nuova fase di grande diffusione: le famiglie nobili e i grandi agrari ne incentivarono la piantumazione nei giardini e nelle loro proprietà fondiarie. Esemplari isolati, viali o in piccoli nuclei, sistemati in prossimità di ville, chiese, castelli o incroci di strade, servirono non infrequentemente da punto di riferimento per i viandanti. Ma il legno di cipresso cominciò a divenire apprezzato anche per la realizzazione di infissi e mobili, per la resistenza che gli è propria oltrechè per il profumo di resina che continua ad emanare anche a distanza di anni. Da allora le sagome inconfondibili di questa conifera sono una presenza diffusa in ogni angolo della Toscana, dalle zone litoranee alle aree collinari interne e costituiscono un tratto distintivo essenziale nella fisionomia e del paesaggio iconico soprattutto del centro Italia. Si ritiene che fin dalla cultura etrusca, la tradizione popolare abbia sempre associato il cipresso all’arcaico culto dei defunti, ma arrivando in Toscana, ci si rende direttamente conto di questo ruolo si stato decisamente superato acquisendo valenze decisamente maggiorie. Al contrario forse in Toscana l’albero del cipresso ha assunto nel tempo una veste spesso augurale, tanto da essere piantato in occasione della nascita di un figlio, e comunque è oggi l’emblema di un territorio modellato dalla sapiente e rispettosa mano dell’uomo.

Il ruolo del cipresso nel paesaggio toscano
Nel paesaggio il cipresso ha una forza formale che scaturisce dai contorni netti, dal colore scuro e dalla verticalità che gli attribuisce grande sontuosità e che si esprime sia quando l’albero è isolato, sia quando fa parte di piccoli gruppi o formazioni di maggior ampiezza. Per la sua intensità e per il legame con la cultura e le tradizioni il cipresso ‘crea’ esso stesso percezione di paesaggio.

La sacralità del cipresso
Il cipresso esercita da sempre una funzione importante nei siti religiosi e monumentali, ed ha assunto un significato simbolico ambivalente di pianta della vita e della morte. I Persiani vi coglievano l’immagine evocatrice della fiamma e del fuoco e quindi della vita e dell’immortalità. I Greci lo consacrarono a Plutone, dio dell’oltretomba, ma lo considerarono anche simbolo di fertilità. I Romani, per la forma pura ed essenziale della chioma che si staglia verso il cielo, lo considerano come albero funebre che trasmette sacralità e dona ombra e senso di pace nei luoghi di culto e nei cimiteri. In Toscana, il cipresso riprende la veste di albero della vita e dell’eternità, come nell’antica Persia, e oggi lo osserviamo nella campagna presso cimiteri, tabernacoli, edicole e simulacri (le cosiddette Maestà), chiesette e santuari. In ‘Davanti San Guido’, il poeta Giosuè Carducci, elesse i cipressi ‘alti e schietti’ a simbolo di valore morale e nobili ideali.

Il cipresso come segnale distintivo nella campagna
Tradizionalmente usato in Toscana per la segnalazione di strade, incroci, ostelli, chiese, il cipresso esercita in questa veste una forte caratterizzazione del paesaggio. Vecchie strade di campagna corrono lungo le dorsali collinari per unire coloniche isolate o borghi. In virtù della sua longevità, secondo un’usanza già diffusa al tempo dei Romani, il cipresso è stato usato come segnale di confine tra fondi adiacenti e appare spesso isolato nella campagna. L’usanza di collocare due cipressi all’ingresso della proprietà è tuttora molto utilizzata e sembra che abbia anch’essa radici antiche.

Il cipresso negli usi e nella cultura rurale
Plinio il Vecchio riporta dell’utilizzo del cipresso nei lavori agricoli per separare i filari dei frutteti e per sostenere la vite. Giovani esemplari di cipressi venivano sistemati per difendere i campi coltivati dall’assalto degli stormi e per cacciare gli uccelli attraverso le stesura di apposite reti. Il cipresso veniva impiegato anche come sostegno dei pagliai dopo avervi asportato i rami. I cipressi intorno alle coloniche sono testimoni dell’antica usanza secondo cui le famiglie patriarcali piantavano un esemplare vicino alla casa in occasione della nascita di ogni figlio. Questa consuetudine riprende quella diffusa in epoca Romana, secondo la quale veniva piantato un boschetto di cipressi alla nascita di ogni fanciulla perché con il tempo andasse a costituire la sua dote. La varietà a chioma larga è stata frequentemente impiegata per costituire barriere frangivento a difesa delle colture agrarie. Oggi, in Toscana, è immancabile l’impianto di nuovi cipressi intorno alle coloniche o lungo i viali di accesso, a testimonianza di una tradizione ancora viva che rende impossibile rinunciare a questa pianta.

Il ruolo del cipresso nel paesaggio toscano
Nel paesaggio il cipresso ha una forza formale che scaturisce dai contorni netti, dal colore scuro e dalla verticalità e che si esprime sia quando l’albero è isolato, sia quando fa parte di piccoli gruppi o formazioni di maggior ampiezza. Per la sua intensità e per il legame con la cultura e le tradizioni il cipresso ‘crea’ paesaggio in diverse forme.

Il bosco di cipresso
L’interesse per il cipresso come albero forestale è dovuto alla produttività e alle qualità del suo legno, robusto, fine, elegante, durabile e profumato, da secoli impiegato per costruzioni e in falegnameria. Il cipresso, inoltre, è noto per la sua marcata capacità di adattarsi ai terreni più aridi e sterili, ed in Toscana è stato utilizzato in rimboschimenti di tipo protettivo già nell’8-900 sui calcari marnosi dei colli alti fiorentini e pratesi. Ben note sono anche le formazioni presenti sulle argille plioceniche del senese (Abbazia di Monte Oliveto Maggiore, Asciano, Val d’Orcia). In Toscana sono inoltre situati i boschi da seme riconosciuti e iscritti al Libro Nazionale dei Boschi da Seme.

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